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Il sorpasso. Investire sui sogni e la paura del futuro

di Cristiano Abbadessa

Intorno alla metà di questo mese ho notato, quasi per caso, il delinearsi di un fenomeno strano e preoccupante. Forse casuale, certamente registrato da un osservatorio piccolo e del tutto particolare, ma probabilmente significativo e non accidentale. Tale, in ogni caso, da meritare qualche riflessione.
Per spiegare di che si tratta, devo partire da un po’ di aride cifre, da qualche percentuale e qualche statistica, fra l’altro ripetendo qualche notizia che ho già dato, ma che è indispensabile ricapitolare.
A fine ottobre la nostra redazione aveva ricevuto, a partire dall’aprile 2010, quasi un migliaio di proposte editoriali; dunque, in venti mesi era arrivata a una media, quasi costante seppure con qualche picco e qualche risacca, di una cinquantina di proposte mensili o poco meno, per una media di 1,65 proposte editoriali al giorno: un dato abbastanza normale per un piccolo editore che ha dichiarato di essere aperto e disponibile alla valutazione di opere. Come ho già raccontato, ci sono arrivate anche molte offerte di collaborazione, richieste di lavoro e curriculum speranzosi, a partire non da subito ma da quando la casa editrice, pubblicando i primi titoli, si è manifestata al mondo; diciamo perciò un centinaio in quattordici mesi, che fa una media di quasi otto al mese e di circa 0,30 al giorno; non poche visto che non abbiamo mai incoraggiato questo tipo di proposte.
Bene: tra il 7 e il 21 novembre mi sono accorto che stava accadendo qualcosa di strano: le proposte editoriali, senza alcun motivo apparente, andavano calando, fin quasi a rarefarsi; viceversa, si mantenevano costanti, e anzi aumentavano, le offerte di collaborazione. Ho tirato una riga alla fine delle due settimane e fatto due conti: erano arrivate sei proposte editoriali (di norma, nello stesso periodo ne arriva almeno una ventina, o più), per una media inferiore allo 0,5 al giorno, e sette offerte di collaborazione (esattamente una ogni due giorni), con una media quasi doppia rispetto al solito. Ma quel che mi ha colpito è che, seppure per un periodo limitato, si è verificato il sorpasso: il numero di quanti cercavano un lavoro (mai offerto da noi), in quelle due settimane ha superato il numero di quanti speravano di essere pubblicati. E, in ogni caso, un rapporto che di solito è di circa sei a uno si era portato in equlibrio.
Ora, è chiaro che può essere stato un caso o un puro scherzo del destino (in effetti, nella settimana successiva sono arrivate quattordici proposte editoriali, riportando la media sul suo standard più elevato). Però è accaduto, e certi segnali non vanno del tutto ignorati.
Una spiegazione, non volendo credere alla totale casualità, me la sono data. Provate a tornare, nel turbinio della cronaca, a quanto accadeva in quei giorni: governo sull’orlo della crisi, la resistenza passiva di Berlusconi e poi le dimissioni, una staffetta avvenuta in modi e tempi inusuali e irrispettosi delle procedure costituzionali, un perenne stato di allarme economico e finanziario. Un’informazione ansiogena e trafelata ha per giorni generato paura, senso di insicurezza, timore del presente e scarsa fiducia nel futuro. Persino un evento politico tanto atteso o temuto (a seconda dello schieramento) come il tracollo di un governo in liquefazione e la resa di un protagonista epocale e controverso come Berlusconi sono in buona parte passati in secondo piano, nei cuori e nelle menti delle persone comuni, di fronte alla preoccupazione per il domani, al senso di un’eterodirezione della nostra sovranità, alla richiesta di “lacrime e sangue”, al timore che tutto si sarebbe infine scaricato in un costo che ciascuno di noi avrebbe pagato, e pesantemente, di tasca propria. Può essere una reazione spiegabile, dunque, quella di accantonare sogni di lunga e complessa realizzazione (come la speranza di pubblicare una propria opera) per dedicarsi alla concreta ricerca di uno scoglio cui aggrapparsi (come un lavoro, più o meno stabile e più o meno pagato, ma pur sempre in grado di far portare a casa qualche euro in più).
Reazione spiegabile, ma che ancora una volta induce a sospettare che, troppo spesso, la proposta editoriale avanzata dall’aspirante autore nasconda più un gioco che un sogno. Perché nei tempi duri e incerti i giochi si può anche lasciarli da parte, in favore di un’immediata concretezza, ma i sogni no. E allora, paradossalmente, ben vengano la crisi e la paura, se possono aiutarci a risolvere un equivoco. Dare corpo alla propria vocazione di scrittore può essere un sogno di difficile realizzazione, ma di certo tale è destinato a rimanere se non vi sarà a supporto il coraggio di investire su se stessi, la fiducia nella propria capacità, la voglia di rischiare e di fare.
Forse la grande paura è durata solo quelle due settimane, ma credo che la morale della piccola storia non sia da trascurare. Cercando, naturalmente, di dare al tutto una chiave di lettura positiva. E in questo mi aiuta, come racconterò meglio nei prossimi giorni, l’esperienza appena conclusa della partecipazione a “Un libro a Milano”, salone della piccola editoria indipendente. Dove, rispetto al passato, si sono incontrati più operatori del settore, si sono intrecciate relazioni fertili, si è notata una voglia di fare e inventare risposte anche in situazioni obiettivamente difficili. E, magari, si è visto in giro qualche perdigiorno in meno.

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