Filiere

di Cristiano Abbadessa

Abbiamo un po’ giocato, nei botta e risposta ai commenti ricevuti, con tonni e tartufi. Ma ha davvero un senso paragonare la grande distribuzione commerciale, in specie quella alimentare, alla grande distribuzione libraria?
Sì. Perché nella grande distribuzione i percorsi dei prodotti, le cosiddette filiere, hanno una evidente caratteristica comune: la maggior parte degli attori del processo distributivo poco o nulla conoscono della qualità e del contenuto del prodotto stesso.
Ci perdonino a priori le lodevoli eccezioni, che naturalmente esistono, ma il paradosso di una catena distributiva basata solo sull’immagine, l’esteriorità, la promozione e il nome, insomma sul “sentito dire”, è elemento davvero peculiare su cui riflettere.

Il libro, a volte non solo nella grande distribuzione, è uno dei generi commerciali più esposti a questo paradosso. Perché a parte l’autore e l’editore, che ne sono in solido produttori, nessuno, prima del consumatore finale (il lettore), si prende di norma la briga di sapere cosa c’è dentro questo benedetto oggetto. Il distributore decide se distribuire o meno un editore senza aver mai letto un rigo delle opere pubblicate, basandosi su altre considerazioni di opportunità e visibilità, di marketing e promozione, di forza economica e di immagine. L’agente, per conto del distributore, va a proporre ai librai un titolo ripetendo quanto concordato con altri, ma senza aver mai aperto una pagina. I rivenditori (e ciò è tanto più vero quando si parla dei bookstore delle grandi catene) espongono una merce della quale nulla o poco sanno (e infatti, quanti librai possono davvero dare un consiglio?).
Una situazione appunto paradossale, comune a quella della grande distribuzione in genere, dove né i responsabili degli acquisti, né i direttori dei superstore, né commessi o cassiere hanno mai provato o assaggiato un prodotto prima di decidere se metterlo in vendita, se promuoverlo, se in qualche modo spingerne l’acquisto.
Ha senso una filiera così, all’interno delle quale sei promosso o bocciato, sponsorizzato o ignorato solo sulla base di considerazioni che riguardano altro rispetto al tuo prodotto e al tuo lavoro?
Probabilmente no. Sicuramente no, anzi.
Al momento, per i piccoli editori che non possono giocarsi la partita sul terreno degli investimenti pubblicitari e delle relazioni, l’unico antidoto all’invisibilità è il passaparola, la voce dei lettori (non in senso generico: parliamo proprio di quelli che hanno letto un determinato libro) che commenta, consiglia, indirizza.
Ma, di fronte a un sistema che solo di rado premia la qualità, è forse venuto il momento di pretendere un cambio di passo. O di attrezzarsi per fare scelte diverse.

2 commenti

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2 risposte a “Filiere

  1. Pigi S.

    Excusame una pregunta: e i critici? Mi riferisco a quei recensori letterari che firmano talloncini sulle pagine della cultura dei quotidiani, o all’interno di inserti specializzati. Un tempo (almeno prima che l’intero mercato editoriale venisse definitivamente “mondadorizzato”), un ‘buon lettore’ (ossia quello che non si accontenta di prodotti quali “Six feet over sky” o i romanzi di quel personaggio televisivo con la terza media, tanto per non essere troppo espliciti) si affidava a quel “passaparola” autorevole che era una recensione critica benevola circa questo o quel titolo. E ora? Anche i critici sono stati fagocitati da questo sistema morboso? Oppure i loro pareri non sanno più spostare le preferenze degli acquirenti? E ancora, non c’è modo di “forzare loro la mano”, inviandogli il libro appena pubblicato e caldeggiandone – se necessita magari anche importunandoli ripetutamente – un tempestivo giudizio messo a stampa?

    • cristiano abbadessa

      per ora mi limiterei a dire che, a rigore, i critici letterari non fanno parte della filiera produttiva di un libro, così come un giornalista di Quattroruote non fa parte della filiera produttiva della Punto.
      naturalmente, stampa e pubblicità (difficilmente scindibili) sono temi che meritano una trattazione ampia, a parte.

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